“Il pizzo è una forma di estorsione praticata dalla mafia che consiste nel pretendere il versamento di una percentuale sull'incasso o di una quota fissa da parte di negozianti e imprenditori in cambio di una supposta "protezione" dell'attività…….”. Premettendo che la mia è una evidente provocazione, a me è venuto spontaneo accostare a questo termine l’esperienza – o meglio la disavventura - di rivolgersi in banca per poter provvedere al proprio futuro: a chi non verrebbe in mente infatti (sapendo ovviamente che di forzatura si tratta) un tale parallelismo logico allorquando si prospettano, per accensioni mutui più che ventennali, rate mensili di 800/900€ con quote per interessi pari al medesimo importo richiesto (chiedi 100 e dopo 20/30 anni sei costretto a restituire 200)? Questo nella migliore delle ipotesi, cioè quando un mutuo te lo concedono……perché diversamente la situazione si complica e diventa per lo meno assai difficile - per non dire impossibile - acquistare un immobile e metter su famiglia a meno che non si evadano le tasse dichiarando di essere indigenti!
Ma che razza di paese è mai questo che scarica totalmente sui giovani il costo delle inefficienze e delle tutele di meno giovani, incapaci e protetti? E poi essere costretti a pagare da un minimo di 6.000 € ad un massimo di 15.000 € al mese per spese di gestione di un autoveicolo a Milano (notizia apparsa sul Corriere della Sera del 23 marzo 2008); per non parlare poi del costante rincaro delle bollette di luce e gas – nuovo aumento previsto dal 1° aprile. O ancora scoprire che, per poter mandare i propri figli ad un asilo nido – pubblico o privato cambia poco - , si è costretti a pagare rette mensili di 400/500 € al mese. Ma l’art 3 della nostra bellissima (ancorché molte sue parti non trovino ancora concreta applicazione) Costituzione non recita che “…..È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese……..”. Tariffe e rette così alte non sono un chiaro ostacolo all’esercizio di un diritto, cioè poter accedere ai servizi di cui dovrebbe poter godere una collettività a fronte del pagamento delle tasse?
Allora delle due l’una: o si decide di voler andare esplicitamente sempre più verso società con fortissime segmentazioni nelle condizioni socio-economiche fra chi ce la fa e chi no (tipica condizione che è presente nelle economie post comuniste) oppure si dichiari apertamente l’incapacità degli attuali sistemi di welfare, straordinarie eredità del secolo scorso, di garantire condizioni di benessere alla collettività e soprattutto si ponga mano ai fondamenti del sistema economico perché questo sia capace di affrontare le sfide dei prossimi decenni restituendo ad esempio un accettabile potere di acquisto ai lavoratori sostenendo stipendi e salari, si taglino le tariffe dei servizi pubblici e si eliminino rendite di posizione frutto di condizioni di persistente monopolio e/o pessima gestione.
Gli esempi – e se ne potrebbero fare tanti altri – sopra citati del costante aumento del costo della vita, non solo fotografano la realtà di un paese che è in evidente crisi e – a parità di andamenti – destinato ad implodere su sé stesso, ma soprattutto concorrono a illustrare bene il perché classe politica e paese reale siano così distanti tra loro. Solo due ulteriori provocazioni che inquadrano la situazione in cui ci si trova. Di oggi la notizia di una proposta per lo meno ridicola: introdurre una tassa di scopo a carico dei cittadini lombardi per salvare Malpensa….come se i responsabili della gravissima situazione dello scalo varesino fossero i cittadini contribuenti; andasse invece la magistratura contabile a controllare i bilanci degli ultimi 20 anni e a mettere mano ai portafogli dei manager e presunti tali che ne hanno retto le sorti finora! Oppure si facesse una battaglia di civiltà per eliminare le salatissime e anacronistiche gabelle che applicano per esempio gli studi notarili….in un paese civile non esiste neppure la figura di un notaio proprio a rafforzativo di quanto assurdi siano i privileghi di cui questa casta – non me ne vorranno i notai….tanto sono in buona compagnia – continua a beneficiare alle spalle della società.
E la classe politica che fa? Discute di quanti posti in lista assicurare alimentando discussioni infinite su questioni anacronistiche (ad es. la stucchevole e superata ormai nei fatti contrapposizione fra padroni e operai/lavoratori) e lontane dai problemi reali degli italiani. A questo proposito, l’obiettivo – pur mobilissimo – della redistribuzione della ricchezza su cui una parte politica continua a rivendicare orgogliosamente la primogenitura e fonda la propria piattaforma programmatica si riduce a puro esercizio accademico (e in questo periodo di becera propaganda elettorale) se….la ricchezza semplicemente non si produce più come ormai da anni in Italia.
Su questo concordo perfettamente con l’opinione del prof. SARTORI che lo scorso 19 marzo sul Corriere della Sera, in un articolo dal titolo“Il miracolo dei soldi”, si è cosi espresso “è vero che il desiderio di trovarsi più soldi in tasca è un desiderio primario, e per i poveri un bisogno primario. Il problema resta di come si fa. Deve essere chiaro, in premessa, che la questione non è soltanto di distribuzione, di distribuzione della ricchezza; è anche, e prima, di creazione della ricchezza. Se prima, a monte, non ci sono soldi, a valle non c'è nulla da spartire. Mi sembra ovvio. Eppure i più non si chiedono che cosa produca ricchezza. La danno per scontata, come se i soldi piovessero dal cielo, come se ce li regalasse Gesù Bambino. Magari. Ma finora non è mai successo. Allora cosa si deve intendere per ricchezza, e cosa la produce?.....” e ancora “…..Il problema — ricordo — è la ricchezza per investimento, il capitale che alimenta e fa crescere l'economia. Se lo dissipiamo, i primi a trovarsi alla fame saranno proprio i cosiddetti sfruttati. Certo, una economia «troppo libera» crea ricchi troppo ricchi e poveri troppo poveri. Ma questo è un problema di ridistribuzione.
Segmenti maggioritari dell’attuale classe dirigente del Paese non sembrano percepire la fatica di milioni di italiani per arrivare a fine mese né sembrano cogliere una constatazione che è invece sempre più evidente: occorre riuscire (per lo meno essere credibilmente impegnati a provarci…..) a rimettere in moto il paese all’interno di un contesto globalizzato in cui le decisioni sono ormai sempre più interconnesse e in un quadro di congiuntura economica mondiale assai difficile. Scelte e decisioni localistiche e visioni sistemiche di lungo periodo ed ampio raggio devono concorrere insieme a restituire agli italiani la fiducia nel futuro soprattutto agendo per migliorare le condizioni di solidità economica delle famiglie (aumento del potere di acquisto di salari e stipendi, riduzione dei livelli di precarietà nel lavoro, investimenti massicci nell’occupabilità dei giovani ma anche di chi è espulso dal mercato del lavoro in avanzata età, lotta all’evasione fiscale perché diminuisca il fardello che attualmente pesa su chi paga le tasse ecc. ecc. ).
Questo senza tentennamenti, senza i consueti “se e ma” soprattutto compiendo opzioni di scelte impegnative (e proprio per questo a somma zero…qualcuno ci perde, altri ci guadagnano) tali da concorrere a garantire condizioni di sostenibilità per il futuro (occorre ad es. - come si sta tentando di fare - sdoganare il rifiuto tout court all’energia nucleare come fonte energetica alternativa ai materiali fossili e riformulare il pubblico dibattito rispetto a questa opzione rimuovendo pregiudiziali ideologiche superate dall’innovazione di cui queste tecnologie ora possono beneficiare). Inutile sognare un mondo diverso che non c’è, più utile ma soprattutto lungimirante concorrere piuttosto a migliorare le condizioni di quello in cui tutti noi ci troviamo perché davvero si riformuli su nuove condizioni il patto intragenerazionale fra chi oggi è garantito, protetto e in condizioni di relativa stabilità e accettabile benessere e chi non ce la fa - perché ancora giovane o in condizioni di difficoltà – perché a prevalere sia l’orientamento al futuro restituendo finalmente agli italiani la felicità (condizione questa di cui non si parla mai abbastanza), la gioia di vivere e la voglia di rischiare per un progetto di sviluppo per un paese nel quale far crescere i propri figli.