Il risultato elettorale consegna all'Italia un panorama politico totalmente nuovo, di cui vedremo gli effetti sul governo concreto del Paese; presumo che il disastro creato da Veltroni e Berlusconi sarà irreversibile per la vita sociale delle famiglie.
Personalmente dubito che tale risultato rappresenti una scelta definitiva degli italiani nei confronti di un sistema bipartitico, l’inganno e la menzogna, a breve saranno d’appannaggio di tutti quei cittadini che, loro malgrado hanno dovuto ratificare le decisioni elettive dei deputati.
In realtà il drenaggio a favore delle due maggiori alleanze sono state la conseguenza di una legge elettorale che, caso unico al mondo, prevede quella vera e propria anomalia democratica che è rappresentata dal premio di maggioranza.
Il cambiamento è avvenuto e, anche se i suoi effetti non possono essere ritenuti irreversibili, con essi bisognerà fare i conti durante quella che si caratterizzerà come una vera e propria fase di transizione verso una nuova normalità politica per il nostro Paese.
In questa prospettiva i centristi, e soprattutto i principali dirigenti dovrebbero assumersi la responsabilità di avviare un nuovo processo aggregativo che dovremmo definire Costituente; corre allora l'obbligo di riflettere compiutamente sulle ragioni che mi hanno indotto a riflettere su tale considerazione.
Forse proprio un terremoto non è (o non ancora) ma almeno mezzo sì.
Romano Prodi, il fondatore del Partito Democratico, lascia la presidenza, e lo fa in circostanze a dir poco strane. Ha inviato una lettera prima delle elezioni a Walter Veltroni, che però doveva restare segreta ancora per qualche giorno. Dall'entourage del numero uno del Pd assicurano che la fuga di notizie non è colpa loro e si dicono certi che non sia stato nemmeno il Professore a far filtrare l'indiscrezione.
Però dal fronte dalemiano trapela la convinzione che sia stato proprio il premier uscente a lanciare un siluro contro l'ex sindaco di Roma, giusto all'indomani della sconfitta elettorale. Un sasso nello stagno, insomma, nella speranza che le varie anime dei Democratici inizino a mettere in discussione il leader eletto con le primarie del 14 ottobre. Forse la responsabilità non è dello stesso Prodi, che punta a un incarico internazionale (Nazioni Unite?) e pensa così di chiudere il processo iniziato con l'annuncio di non candidarsi alle Politiche, piuttosto potrebbe essere stato qualche prodiano ora disoccupato (e ce ne sono tanti) che ha ancora qualche sassolino nelle scarpe.
Nel frattempo i fedelissimi di D'Alema si chiamano fuori. E giurano che il ministro degli Esteri uscente non utilizzerà la bomba del Professore in chiave anti-Veltroni. Massima fedeltà al segretario, dunque, e nessun processo interno post-elettorale. Bisogna crederci? Probabilmente in questo momento D'Alema non ha la forza per contrapporsi a Walter, anche se quando verrà il momento di scegliere il nuovo presidente del partito, probabilmente, le correnti degli ex popolari di Marini e quella del titolare della Farnesina (che insieme fanno la maggioranza dell'Assemblea) si uniranno per mettere un loro uomo su una poltrona che, forse avrà anche poco potere sostanziale, ma conta molto in termini d’immagine. Che potrebbe mettere in difficoltà Veltroni.
MARINI DOPO PRODI? Il segretario del Pd cercherà di farlo tornare sulla sua decisione ma, visto come Romano Prodi ha giocato la sua carta, in pochi scommettono su un suo ripensamento. E tra i parlamentari del Pd scatta la gara ad individuare la figura adatta a ricoprire un ruolo che, se prima era più un titolo onorifico, nella nuova fase che si apre potrebbe diventare più di peso e più politico. Chiaro che i 'prodiani' stiano pensando a qualche loro esponente di spicco (Bindi, che però nega, ma anche Parisi), ma i giochi ora sembrano spostarsi verso Palazzo Madama. E s’inseriscono nella complicata partita della scelta dei nuovi capigruppo. A quanto si apprende, dalle parti del loft del Pd per la carica di presidente del partito qualcuno pensa a Franco Marini per il dopo-Prodi.
Già presidente del Senato, politico di rango e di lunga esperienza, punto di riferimento importante della componente cattolica, in buoni rapporti con il segretario del Pd, Walter Veltroni. Potrebbe essere lui, insomma, la figura di garanzia sulla quale puntare. Per qualcun altro l'ipotesi Marini "è fantapolitica, perché Marini svolge ed ha già un suo ruolo". Per questi, insomma, non c'è "l'urgenza" di indicare un altro "presidente onorario, se ne potrebbe benissimo fare a meno o riparlarne al momento del congresso".
Nel caso invece si puntasse su Marini, per quanto riguarda i ruoli di capigruppo, alla Camera in pole position c'è Pierluigi Bersani, ministro uscente dello Sviluppo economico. Al Senato, la presidente uscente Anna Finocchiaro verrebbe indicata come vicepresidente di Palazzo Madama mentre per il ruolo di 'frusta' in pole position c'è Luigi Zanda ('rutelliano'). Gran conoscitore dei regolamenti parlamentari, il ruolo di Zanda sarebbe quello di fare le pulci su ogni provvedimento che la nuova maggioranza di centrodestra porterà all'esame dei senatori. Qualcuno all'interno del Pd per lui lo ha battezzato come "un ruolo alla Schifani". Altri nomi che circolano quelli di Giorgio Tonini ed Enrico Morando, più vicini al segretario Veltroni.
GLI UMORI DAL LOFT - C'è stupore al loft veltroniano per le dimissioni di Prodi da presidente del Pd. Non per la notizia in sé, che Prodi aveva anticipato per lettera già nelle scorse settimane, ma per la tempistica e per la modalità dell'ufficializzazione della scelta. Uno stupore che rivela anche una certa irritazione per un annuncio che, per come è stato dato, certo non agevola Walter Veltroni nella gestione di un difficile risultato elettorale.
"C'è da chiedersi perché abbiano deciso di farlo uscire ora", dicono ai piani alti del Pd. Nella lettera, sottolinea la stessa fonte, Prodi spiegava la propria intenzione di rinunciare ad ogni responsabilità politica, coerentemente con la decisione presa di non ricandidarsi alle elezioni, "ma si era rimasti d'accordo che della questione avrebbero parlato insieme Veltroni e Prodi dopo il voto". Insomma, Veltroni pensava che l'annuncio sarebbe stato dato solo dopo il suo incontro con Prodi, magari anche in una conferenza stampa congiunta, in modo da evitare il rischio che potesse apparire una scelta polemica del premier uscente.
Tutto chiaro. Ha vinto Silvio Berlusconi e, alla faccia delle ipotesi di pareggio (benedetti sondaggi!!!), governerà un'Italia con promesse di lacrime e sangue per cinque lunghi anni. Chiaro anche, però e soprattutto, a dettare la rotta del prossimo governo sarà quella Lega Nord che ha consentito la vittoria contro Veltroni e Di Pietro. Quella Lega che ha addirittura consolidato il suo elettorato operaio, sottraendolo in parte anche alla Sinistra masochista di Bertinotti, che ha sbagliato tutta la campagna elettorale a cominciare dalla scelta del leader. E' la terza volta che Berlusconi e Bossi si trovano a guidare Palazzo Chigi ma questa volta potrebbe essere tutto un altro film.
Nel 1994 il patto di ferro si ruppe dopo soli otto mesi giocando sull'ambiguità di una doppia coalizione tra Nord e Sud e su un'incompatibilità ideologica tra Lega e AN che non lasciò spazio al realismo. Ne nacque la caduta del primo Berlusconi e il più grande successo elettorale della Lega, che, andando in splendida solitudine alle elezioni politiche del 1996, incassò quasi il 10%. Era la Lega più di lotta che di governo. Nel 2001 per la prima volta Lega e Forza Italia stavano sotto un'unica grande alleanza nazionale (quella che venne sapientemente definita Casa delle Libertà). La vittoria trionfale di quelle elezioni, con un Carroccio che cedette elettori al partito di Berlusconi, dettò la rotta di un governo con un Berlusconifortissimo e solitario e un Bossi (a cavallo della sua malattia) che ne divenne il più fidato alleato. L'unico che non poneva problemi nella coalizione in cambio essenzialmente solo della devolution. Insomma la Lega partito di governo e molto poco di lotta.
Ed eccoci allo scenario 2008-2013. Vittoria schiacciante sia alla Camera che al Senato ma con una Lega vicinissima al suo migliore risultato (quando era da sola appunto nel 1996) e un Pdl che a fatica tiene i voti delle ultime elezioni 2006 (per inciso quelle perse). Che cosa cambierà allora con questo nuovo governo Berlusconi, il terzo (il quarto, se contiamo il rimpasto del 2005)? In tanti parlano del ruolo di watchdog che la Lega potrà avere su Berlusconi e sulla sua nuova avventura. Parlano di un Presidente "Legato", ma non imbavagliato, che seguirà con puntualità le idee e le priorità dell'alleato che, questa volta, non sarebbe il più fedele ma il più determinante e, quindi, il più forte. Qualcosa di molti simile a quel PSI di Craxi nei governi del CAF degli anni '80 del finire della Prima Repubblica. Quando, guarda caso, la Lega di Bossi nasceva. E' un possibile scenario, quindi: governo debole sotto ricatto di una Lega forte con un profilo di governo e un'anima di lotta. Sarebbe lo scenario di una possibile stabilità, continuamente sotto tutela e a rischio implosione, nel momento in cui la Lega dovesse percepire lo spazio per una vittoria elettorale ancora più consistente nel breve di questa appena ottenuta. Ovvero lo spazio per un nuovo e migliore successo che addirittura superi quello del 1996.
Il secondo scenario è invece quello di una Lega che interpreta il suo ruolo di cane da guardia più come compagno di squadra che come dittatore dello stato libero di bananas. In questo caso la parte che Bossi interpreterebbe sarebbe quello del socio alla pari con Berlusconi di un governo che diventerebbe come la Lega di lotta e di governo in tutto e per tutto. Sarebbe la soluzione che stabilizzerebbe il governo, togliendo a Berlusconi la guida solitaria, ma garantendogli cinque anni di vita e magari di successi. Come? In questo scenario, prima di tutto, la Lega guiderebbe il governo Berlusconi verso la conquista degli elettori antipolitici, che tanto hanno premiato il partito di Bossi. Sarebbe il governo che dovrebbe intervenire di più sulla casta, sui costi della politica, sui privilegi dei ministri, sul caravanserraglio del Parlamento e magari anche sulla pulizia (almeno nel casellario giudiziario) dei politici.
Seconda rotta che potrebbe dettare la Lega compagna di viaggio di Berlusconi sarebbe quella delle priorità su tre temi con cui il Carroccio ha conquistato (soprattutto quest'anno) voti. Sarebbe il governo della sicurezza senza tante mediazioni, del lavoro senza tanti sindacati, della lotta al carovita senza tante ipocrisie da dati Istat (come fece il governo Berlusconi dal 2002 al 2006). Le priorità della vita quotidiana degli italiani potrebbero insomma diventare davvero quelle del governo. Il che non sempre accade (anzi quasi mai) nel passaggio dalla campagna elettorale al governo.
Terza innovazione. Diventerebbe magari il governo del territorio. Il governo che recupera (sul modello Lega appunto) una relazione e antenne stabili tra la gente, chiudendosi meno a Roma e viaggiando di più in Italia. E conseguente a questo cambiamento ci sarebbe ovviamente la pretesa da parte della Lega della presidenza di almeno due Regioni del Nord (Lombardia e Veneto) per integrare proprio il nuovo approccio di governo del Paese. In sintesi, se questo fosse lo scenario, il governo a doppia guida Bossi-Berlusconi potrebbe addirittura rischiare di essere un governo veramente popolare e capace di costringere il Centrosinistra ad un' ulteriore accelerazione del cambiamento che ha avviato sul suo fronte e che inizialmente ha costretto il centrodestra a inseguirlo. Molto probabilmente questa possibile strada metterebbe inoltre la Lega nella condizione di conquistare ancora più voti da AN e Forza Italia di quelli che ha già messo in cascina in queste elezioni.
Insomma alla loro terza prova di governo, Berlusconi e Bossi potranno scegliere tra un Governo Legato e uno Popolare. Tra essere due supereroi che a volte si uniscono e a volte si scontrano o diventare ufficialmente una specie di "coppia di fatto" come il fantastico duo Batman e Robin. Con buona pace della famiglia tradizionale della Binetti e di Formigoni.
Il primo invito a tutti gli esclusi, ora, è quello di non arrendersi in quanto urge avviare un progetto di costruzione di una nuova ed incisiva aggregazione, non dobbiamo arrenderci alla sfida delle ulteriori verifiche del 2009 e del 2010.
Tutto ciò inoltre dovrà accompagnarsi a un forte rinnovamento del gruppo dirigente e alla contemporanea messa a punto di un credibile messaggio politico, accompagnato dalla chiara individuazione di un percorso che permetta di cogliere le crepe che si apriranno nello schema di quel bipartitismo che è stato messo fortemente in dubbio dagli stessi elettori".