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06.11.2010 - UN TIRA E MOLLA CHE LOGORA IL PAESE |
da "L'inClemente", del 5 novembre 2010, Rubrica del Nazione-Carlino-Giorno |
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Per molti anni ci siamo vantati di essere un Paese con un’alta percentuale di votanti. Poi le cose sono cambiate e sono sempre di meno gli italiani che ogni anno si recano alle urne. Tra referendum e turni elettorali di vario tipo si vota troppo spesso? E’ vero. Sarebbe preferibile prevedere accorpamenti e apposite sessioni in date prefissate? Può darsi. Una cosa è certa: se la quota degli incerti e degli astensionisti continua a crescere, un motivo ci dovrà pur essere. Se dal 20-25 per cento stimato all’inizio del 2010, la percentuale in soli dieci mesi si è di fatto raddoppiata, attestandosi intorno al 40 per cento, vuol dire che tra il Palazzo e il Paese si sta consumando una frattura che rischia di diventare insanabile. E le vicende di questi mesi non sono certo estranee a questa crescente disaffezione. Le responsabilità non riguardano questa o quella forza politica ma tutti i partiti. Lo scaricabarile non giova a nessuno perché nessuno è esente da colpe. Chi è stato legittimato dal voto popolare ha il diritto-dovere di governare occupandosi, e preoccupandosi, dei problemi veri del Paese. Alle opposizioni il compito di controllare e, dove possibile, contribuire al varo di leggi che, almeno, avviino a soluzione quei problemi. Questo continuo tira e molla sulle sorti del Governo, sulla tenuta della maggioranza, non va bene. Il non sapere oggi che cosa potrà accadere domani è la cifra del malessere che colpisce l’elettorato e lo allontana progressivamente non dal centrodestra o dal centrosinistra ma, ciò che è più grave, dalla politica. A questo punto,se non si vuole che la crisi diventi irreversibile, occorre chiarezza: o le varie anime della coalizione che ha vinto le elezioni, sia pure oggi disarticolata, riescono a trovare la quadra per un nuovo patto di governo che ci porti almeno fino al 2012 (e in due anni di cose importanti da fare ce ne sarebbero) o è meglio staccare la spina e tornare nella prossima primavera alle urne. E qui si inserisce una riflessione sulla durata delle legislature. Le vicende di questi anni dimostrano che cinque anni sono forse troppi, considerando che oggi tutto cambia e molto in fretta e che i programmi elettorali dei partiti spesso vengono ‘superati’ e stravolti da altre emergenze, affatto prevedibili al momento del voto. Non sarebbe pertanto sbagliato, tra le riforme necessarie, prevederne una che fissi in quattro anni la durata della Legislatura: Si tratterebbe di un tempo congruo per consentire ad una determinata maggioranza di attuare il suo programma e, su quella base, vedere confermato o diminuito dagli elettori il proprio consenso elettorale. E’ una proposta ma sarebbe bene che qualcuno cominciasse a lavorarci seriamente. Potrebbe essere una delle soluzioni alle ricorrenti crisi di metà legislatura.
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