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31.07.2006 - Mastella «Da settembre lavoriamo alle riforme dalla legge sulla droga alla ex Cirielli”
 
Mattia Feltri ROMA Il giorno dopo, portata a casa la vittoria Sull'indulto, il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, si fa prudente come un gatto svizzero. Tende la mano all'altro campagnolo di governo, Antonio Di Pietro, e si trattiene dal parlare di rivincita della! Dc, quindici anni dopo. Non. fa niente se il matrimonio del figlio Pellegrino è stato celebrato a Ceppalo-ni, fra ospiti di alto lignaggio politico, torte disneyane e piramidi di pesche in uno sfarzo (finalmente) da latifondista della Prima repubblica. E meno ancora fa se l'ha spuntata sulla clemenza sbaragliando il fronte- ora sparuto e in parte annoiato - che ai tempi di Mani pulite sbaragliò la Balena Bianca. «Non ho vendette da consumare», dice, nemmeno con Tonino e nemmeno se Tonino, come ha ricordato, «nel '92 mi voleva arrestare». Era successo che il tremillesimo pentito era andato dall'Eroe a denunciare l'estorsione quantificabile in 84 milioni di lire in vestiti consegnati all'allora semi-leader democristiano. «Col solo risultato di far incazzare il mio sarto», ricorda Mastella. Gli preme piuttosto di ripetere al collega che «è inaccettabile che lui tiri in ballo la mia moralità, lui e gli altri, quelli che dicono chissà quale inciucio c'è dietro, chissà quale compromesso. Devono capire che Silvio Berlusconi è un avversario di cui ho rispetto». Eppoi è compromissioria anche la Costituzione, «una grande Costituzione, e figlia, come ovvio, della trattativa». Ritira in ballo Giovanni Paolo II, il debito con lui del Parlamento, le ragioni profonde di coscienza eccetera, e cioè: «Non avevo tutta questa voglia di finire sul blog di Beppe Grillo come amico dei corrotti. Lo sono anche il presidente della Repubblica, che a dicembre sfilò con Marco Pannella, e Karol Wojtyla?». E piuttosto, insiste, questi saltimbanchi della rettitudine dovrebbero piantarla di farsi avanguardia della società civile: «Si presentino al voto, vediamo che forza hanno. E peggio quelli che li spalleggiano dal Parlamento. Tutta gente che fa coalizione con me, liberamente». Per esempio Franca Rame, che al «Manifesto» ha detto di aver votato no pensando agli operai morti sul lavoro. «Un ragionamento assurdo, specie perché proviene da lei che s'è sempre battuta per i detenuti. Ma che significa? Per amore dei lontani non aiuti quelli vicini?». Ne ha sentite, dice, di obiezioni strampalate. Lo hanno colpito specialmente quelle di Eugenio Scalfari, «piene di virulenza e prive di logicità», e cioè ritiene illogico abbandonare migliaia di reclusi per colpire settanta colletti bianchi. E si è dunque rafforzato nella convinzione che «si deve diffidare dei teologi del moralismo». Quelli che vogliono applicare la propria morale agli altri perché quella degli altri è una morale immorale. Adesso non gli sfugge la necessità di preparare riforme strutturali, «visto che quello dell'indulto è un provvedimento eccezionale ed eccezionale deve rimanere». Concorda in pieno con Giuliano Pisapia, di Rifondazione comunista, secondo il quale si debbono studiare forme alternative di pena per i tossicodipendenti. Significa anche rivedere la legge Giovanardi, molto punitiva sulla questione droga. In effetti le prigioni traboccano di drogati, piccoli spacciatori, e poi di extracomunitari, e si può immaginare che a causa della Cirielli (la legge con cui la recidiva viene pagata duramente) il problema si aggraverà. «Questi sono i punti su cui dobbiamo concentrarci da subito», dice. E spera di mettere mano a quelle norme in accordo con l'opposizione, «la quale deve sapere che non abbiamo intenzione di buttare a mare tutto il lavoro fatto nella precedente legislatura». Se ne riparlerà comunque a settembre, insieme con l'ipotesi di costruire nuove carceri, «sebbene sia più urgente sistemare quelle vecchie. Sono stato di recente a San Vittore e mi sono venuti i brividi. Ringrazio il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, con cui collaboreremo per migliorare la vivibilità dell'istituto». La priorità è di organizzarsi per indirizzare gli effetti dell'indulto. Il ministro chiederà l'appoggio del Consiglio superiore della magistratura, dei magistrati di sorveglianza, dei volontari, dei cappellani, «e dei vescovi, soprattutto, perché vadano a parlare con chi sta uscendo, li motivino, li aiutino a non delinquere più». Ma non è che le polemiche finiranno qui. Quando il primo dei beneficiari dell'indulto ci ricascherà, se ne scateneranno di nuove. Per cui potrebbe essere un'idea, fra sei mesi o un anno, fare un monitoraggio per capire come è andata. «Ci si può pensare, bisogna capire se si può farlo e come, ma non lo escludo». Con Mastella non si può non finire a parlare della politica puramente all'italiana, quella della strategia, del cambio di alleanze. C'è ora l'ipotesi bertinottiana dell'allargamento della coalizione. Mastella non ne è ostile a prescindere, «è che mancano le condizioni». Almeno finché a sinistra si continuerà a parlare del Partito democratico (fusione di Ulivo e Margherita) e a destra del partito unico, «e non si faranno né l'uno né l'altro. Io auguro ai miei amici di riuscire a mettere in piedi il Partito democratico, ma non ci credo, perché non vedo entusiasmo, e quando non c'è entusiasmo non si va né da una parte né dall'altra. Però questi progetti impediscono che se ne abbozzino di alternativi, anche di ampliamento della maggioranza». Poi, detto questo, si sappia che «la costruzione del grande centro resta sempre in cima ai miei pensieri e in fondo al mio cuore».

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