La letteratura di viaggio è da tempo al centro degli interessi di Gaetano Fierro. Ne ricordo infatti l'ultimo libro, una appassionata indagine sui visitatori stranieri nel mezzogiorno d'Italia. Oggi, invertendo i percorsi, è lui, Fierro, a partire, d'estate, insieme a Costanza, la sua compagna, verso l'Irlanda. Un paese che diventa un luogo dell'anima e nel quale egli troverà molte consonanze culturali e antropologiche con l'Italia meridionale. La diffusa presenza di tracce medievali, il calore della gente, almeno nella parte centro-meridionale dell'isola, una robusta cultura contadina e pastorale.
Viaggiare, spiega Gaetano, significa andare alla ricerca del colore di un posto, lasciarsi accompagnare dalla musica etnica e ascoltare le parole della gente. E, un po' sulla scorta di queste intenzioni, egli racconta alla maniera dei viaggiatori settecenteschi, per nulla preoccupato dalla consapevolezza che i media offrano oggi istantanee analitiche dei luoghi. Perché sa che il reportage descrive l'aspetto esteriore di un paese ma soprattutto tocca ciò che sta dietro la facile immagine turistica.
E cosa emerge dall'analisi del paesaggio interiore?
L'Irlanda per Fierro è un'avventura nei colori del verde e del rosso. Ciò che il viaggiatore tocca con mano immediatamente è una sorta di idiosincrasia verso gli inglesi e il cattolicesimo che ha i punti cardine nella devozione ai santi Michele, Patrizio, Lorenzo O'Toole. Paese contadino, l'Irlanda fa registrare una notevole propensione alla trasformazione industriale, ma anche un forte legame all'artigianato delle pietre dure, per via dell'importazione dei diamanti dal Sudafrica.
Il viaggio parte dalle scogliere alte di Summit, nella baia di Dublino e prosegue per Glendalough. Qui nacque San Kevin, il santo anacoreta, nel VI secolo. Abbandonata la casa, San Kevin fondò un monastero nella campagna poco distante. Il monastero ebbe grande importanza fino al 1216, quando furono unificate le diocesi di Glendalough e Dublino. L'atmosfera medievale è resa mistica dalla grotta dove si ritirò San Kevin e che accolse più tardi San Lorenzo O'Toole, mentre vi aggiunge austerità la cattedrale affiancata da un torrione in pietra nera. Si parte da questi luoghi del medioevo per giungere a Dublino, preannunciata da un castello normanno del XIII secolo. Non sembra agli occhi del nostro viaggiatore che cerca consonanze e dissonanze architettoniche e culturali una città inglese, ma latina. Intanto i muretti a secco delle campagne che richiamano la Valle d'Itria. E poi, una volta nelle sue strade, ecco cantori e musici celtici, danzatrici, gente gioviale e allegra. Intorno alla città una corona di prati che digradano dalle colline di Wicklow. La città è affollata, piena di pub e di giovani. Al TempIe Bar ecco uno strano incontro con un vecchio marinaio abbruttito dalle lotte con gli squali.
Si procede verso il Trinity College, l'università irlandese. Fu fondata nel 1552 da Elisabetta I e potevano frequentarla solo i giovani di fede anglicana. Dentro vi si conservano, tra i tanti beni librari, alcuni manoscritti del IX secolo come Il libro di Kells, una versione latina dei vangeli. Furono trascritti da monaci che vivevano di romitaggio, sull'insegnamento di un frate che venne poi elevato agli onori degli altari, San Cutberto.
Ma Fierro sembrerebbe colpito dalla presenza di opere d'arte e dal mito che hanno saputo creare i grandi scrittori irlandesi. La gente dunque, il dialogo, la natura, le architetture, ma soprattutto la tradizione letteraria. Ecco in un parco opere di Arnoldo Pomodoro e di Henry Moore e poi la collezione Beit, ospitata in un edificio del 700. Ecco, più in là, l'abitazione di Samuel Beckett. Vi trascorse la giovinezza, prima di partire per Parigi, una città che il drammaturgo considerava il centro della cultura europea, ben diversa dal ghetto quale gli appariva la sua Irlanda. Tra i tanti parchi il più esteso è Villa Russborough, adiacente a campagne infinite, dove pascolano greggi.
Alle spalle del Trinity College si apre Grafton Street. Oggi c'è sciopero di lavoratori. E' una via molto trafficata, ed è costante la folla di imbonitori musici mangiatori di fuoco. E' in questa realtà che si levano la casa del poeta Gerard Manley Hopkins e la torre di James Joyce. Dublino è anche la città di George Bernard Shaw, di Jonathan Swift, di Oscar Wilde, del quale si parla poco in Irlanda. Né Wilde fece molto per la sua terra d'origine, troppo attento a se stesso, infelice e inquieto, sempre sull' orlo del suicidio e incapace di trovare nella soleggiata Italia o in città come Napoli quella serenità e quella felicità che aveva cercato in luoghi privi di sole.
Lasciata Dublino si prosegue nel viaggio verso il parco archeologico di Knowt a mezza giornata dalla capitale. Qui sono emersi reperti dell'età del ferro. E poi su, verso nord, fino alle terre di Galway e del Donegal. Questi, a differenza del resto d'Irlanda, sostiene Fierro, sono luoghi maledetti da Dio, per le loro rovine, per l'isolamento dal mondo. Molta miseria e silenzio. La gente vive in una dignitosa povertà. Ed è come se l'ambiente abbia contribuito a rendere più duri gli abitanti. Di qui si va verso le ombre del nord, l'Ulster, la regione del sangue, il nervo scoperto del paese, con la sua capitale, Belfast. Dal 1969 non si contano i morti e gli attentati procurati dall'IRA ai danni di civili e di poliziotti. Qui la guerra è sempre aperta e la gente non è ospitale, è più introversa, più dura, distingue tutto in cattolico e protestante, irlandese e inglese. Tuttavia, conclude Fierro, l'austerità del paesaggio, l'introversione degli abitanti non ti invitano alla fuga, perché in un bar o in qualcuna delle case museo può capitare di imbatterti in qualche strambo personaggio attraverso il quale riuscire ad entrare nel cuore di un popolo ferito nella propria dignità e nel suo antico desiderio di autonomia.
Raffaele Nigro
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