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29.05.2006 - Un’opposizione “inutile”
 
di Massimo Falcioni Normalmente l’intelligenza coincide con il dubbio e non tutti hanno questo bene dalla provvidenza. Uno che dubbi non ne ha, lo dice lui stesso, è Silvio Berlusconi. Democraticamente sfrattato da Palazzo Chigi, attonito, incredulo e a testa bassa, il Cavaliere tira diritto per la sua strada, alla ricerca dello scranno perduto, per tentare di riprendere in mano “ad ogni costo” le varie fette del potere. Ma il potere non regge sul “gioco delle delegittimazioni e delle menzogne”. Il potere è una condizione per la politica. E la sua conquista, la sua conservazione, la sua gestione devono essere finalizzate a un obiettivo politico da raggiungere, e quindi a un interesse generale da costituire, da garantire, da difendere. Sulla mancanza di un obiettivo politico generale è caduto il Cavaliere, che sempre ha posto e pone in cima a tutto il proprio “io” voltando le spalle allo Stato e alle sue regole. Il berlusconismo, fra tante aberrazioni, ha intaccato la scala di valori morali obiettivi, favorendo anche, in barba alla propria veste di presunto rinnovatore, il peggior sistema di clientele. Ma cosa significa “sistema di clientele”? Nel 1911 Gaetano Salvemini scriveva “Avvezzi a sentir magnificare la raccomandazione come solo mezzo per andare avanti nella scuola, nel tribunale, nella banca, in municipio, la gente non vede nella vita se non un gioco di protezioni, uno scontrarsi di influenze più o meno efficaci, un prevalere di simpatie e antipatie capricciose. Il merito consiste nell’avere un protettore potente. Gente capace di presentarsi innanzi a un possibile patrono, in ginocchio, strisciando la lingua per terra”. Quanta attualità in queste note, dopo novantacinque anni! Sembra di vedere alcuni tratti dell’Italia di oggi delineati dall’ultima indagine Istat di ieri. In queste ore c’è un tiro alla fune sull’esigenza del dialogo fra i due poli. Il dialogo produce democrazia e la democrazia si forma, si sviluppa e si difende riconoscendo la legittimità e l’utilizzo di tutte le forze politiche presenti, ovviamente non portandole tutte al governo, ma, nel gioco dell’alternanza, riconoscendo ciò che esse rappresentano ai fini dell’equilibrio democratico. Da qui parte il “no” di Berlusconi all’apertura del confronto fra maggioranza e opposizione. Il capo della Cdl è stato chiaro: chi non è con lui o è traditore o è comunista. Ecco perché Berlusconi considera gli alleati, quando non più “sottochiave” e“utili idioti”, semplicemente “traditori”; apre inchieste dentro Forza Italia e invia ispettori per presunta incapacità politica dei suoi gruppi dirigenti dimenticandosi di averli selezionati puntando sulla fedeltà e devozione e non sui meriti, nominati e non eletti; e bolla indistintamente gli “altri” che sono davvero diventati tutti nemici: dal nuovo Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fino al nuovo capo ufficio inchieste della Federazione italiana calcio, Francesco Saverio Borrelli. Il capo della Cdl è rimasto fermo alle elezioni politiche dell’aprile scorso e non c’è niente e nessuno che possa schiodarlo dal suo acido, sordo e assurdo arroccamento personale e politico: non si è per niente ripreso dalla botta che lo ha mandato all’opposizione e da allora non gli va giù niente e nessuno. La strategia dell’uomo di Arcore è una sola: tenere alta la tensione e rimarcare la divisione nel Paese. La mano tesa dal centrosinistra? Il dialogo istituzionale proposto da Prodi? Una furbata dei comunisti per tentare di soffocarlo. L’appello del Presidente Napolitano per favorire il disgelo? Alla larga! L’ex premier vuole ghettizzare il Capo dello Stato come uomo di parte e si rifiuta di apprezzare alcuni riconoscimenti di Napolitano nei suoi confronti perché non ha alcun interesse, con due elezioni davanti, a dare di se stesso una immagine di disponibilità e di apertura. Napolitano, secondo Berlusconi, deve stare fuori dalla partita, non essere un arbitro dentro il campo che corre vicino ai giocatori per verificare la correttezza del gioco e richiamare e punire chi sbaglia, fino all’espulsione. Siamo così ripiombati al muro contro muro, alla ricerca della rissa, alla delegittimazione, al tanto peggio tanto meglio. Il Cavaliere rimonta in sella, riassetta le forze, per prepararsi alla “nuova conta”, “alla battaglia in tutte le sedi e con tutti i mezzi”. Parole di Berlusconi. Il capo della Cdl punta tutto sui prossimi appuntamenti elettorali, le amministrative del prossimo week-end e il referendum istituzionale a fine giugno, ritenuti la grande occasione di rivincita per destabilizzare il quadro politico, delegittimare il nuovo governo fino a indurlo alla resa, tornare alle urne. I proclami sono infarciti della peggior propaganda con al centro “la vendetta”. La parola d’ordine per i suoi è una sola: “stare tutti incazzati”, tenere aperta nel Paese una sorta di guerriglia permanente, almeno per un altro lunghissimo mese. Nell’editoriale del Campanile di ieri Renzo Trappolini lanciava un interrogativo: “E’ battuta da commedia preelettorale o annuncio da psicodramma la minaccia di lasciare il parlamento e far traslocare altrove la casa delle libertà”? A volte, diciamo la verità, la “miseria” politica di questo capo dell’opposizione è rapportabile solo alla sua presunzione che lo porta in questi giorni a scrivere lettere ai leader mondiali annunciando un suo pronto ritorno al governo dell’Italia… Siamo davvero sull’onda del patetico. Comunque la si guardi, quella di di Berlusconi è crisi, crisi vera perché la sua leadership nella Cdl è più virtuale che reale, subìta e, oramai da molti messa in discussione anche se solo dietro le quinte. Berlusconi contesta ostinatamente il risultato elettorale, (è convinto che se la riconta dei voti dovesse dargli ragione, per Prodi non ci sarebbe altra via se non le dimissioni, con il ritorno alle urne), rifiuta irresponsabilmente qualsiasi forma di legittimazione e riconoscimento del governo Prodi convinto così di poter almeno restare leader della Cdl. Ma la crisi di Berlusconi è anche il più vistoso simbolo della profonda difficoltà che travaglia il centrodestra italiano, solo apparentemente unito, ma in verità disorientato e confuso, in preda “a un deficit di strategia politica più preoccupante - come scriveva nel 1973 Andreotti su “Concretezza” riferendosi alla politica italiana - di quello finanziario del bilancio dello stato…”. Quanto bisognerà attendere prima che Fini e Casini e una parte di Forza Italia passino dai timidi “distinguo” lessicali alla definizione di una nuova linea politica? Forse entro giugno il quadro sarà più chiaro. Ma il nuovo Governo non può aspettare e Prodi, pur con il limite del tono da magistrato, fa bene a dire che parlerà “solo con gli atti di governo, solo con le cose concrete”. E’ ora che il Governo, nel suo insieme, esca allo scoperto e indichi le priorità su cui intende procedere nei primi 100 giorni. E ancor più è ora che tutti i partiti del centrosinistra entrino in gioco, a viso aperto, facendo ognuno la sua parte: per vincere le prossime elezioni, per vincere la sfida della governabilità e del rinnovamento del Paese. Solo così, confrontandosi con gli italiani, si piega una opposizione intransigente e inutile a se stessa e all’Italia. Massimo Falcioni

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