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11.05.2006 - NAPOLITANO, PRESIDENTE AL QUARTO SCRUTINIO |
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Il senatore scompagina la Casa delle libertà, ricompatta l’Unione e ringrazia D’Alema: «Mi ha convinto lui»
di Manuela D’Argenio da “Il Campanile” di giovedì 11 maggio 2006
Fine dei giochi. Giorgio Napolitano sale al Colle come annunciato dall’Unione, tra la propaganda anti comunista di Berlusconi e l’entusiasmo del centrosinistra che si è trovato compatto sulla nomina della più alta carica istituzionale. Una bella prova per la coalizione neo vincitrice, che spiana la strada per la formazione decisiva del governo e fissa una pietra miliare nella storia repubblicana del Paese. Un ex comunista, dunque, è il nuovo capo dello Stato per volontà dell’Unione, e il senso di responsabilità di fronte a questa scelta, aumenta inevitabilmente. Da un lato, bisogna dimostrare che il blocco ideologico imposto da Berlusconi a tutta la Cdl, è stato fuori misura e fuori luogo; dall’altro, far capire ai cittadini che esiste una maggioranza in Parlamento, una politica per le istituzioni e l’uomo giusto per il Colle. Ovvero, una personalità dall’alto carico istituzionale, fuori dai giochi di partito e dagli interessi di bottega. In una parola, trasversale. Al punto da dividere palesemente il centrodestra tra il possibilismo di Udc e An che guardavano con favore al nome di Napolitano, e lo scetticismo della Lega in primis, seguita per comodo o per maniera da Forza Italia. Su questa nomination, in sintesi, il centrodestra ha dato prova di debolezza. Fini e Casini lunedì sera forzano Berlusconi al sì. Inutile pressing, col senno del poi. Nella stessa notte, infatti, Bossi si impunta, alza mura, barricate, grattacieli di no sul candidato comunista, e aizza il Cavaliere contro il complotto degli amici-nemici. Così Belrusconi si fa guardingo, confida ai suoi colonnelli il timore di una sorta di “patto dei cinquantenni” stilato da Fini e Casini in sintonia con Rutelli e Veltroni, che avrebbe portato all’eliminazione di D’Alema e mirerebbe alla sua esclusione, e si piega al volere del Carroccio guidato dai suoi desideri più reconditi. Il solito, insomma. Fini tace; Casini asseconda la linea di votare scheda bianca, pur con qualche remora, poiché «Napolitano - dice - è un arbitro credibile per tutti»; e la Lega vince. O meglio, l’asse tra Forza Italia e i lumbard, come da manuale, prende il sopravvento. Ad uscire dal coro, ancora una volta, è Marco Follini che insieme con Bruno Tabacci manifesta il suo voto a favore di Napolitano. Ma “soccorso segreto” a parte, la Cdl si è allineata al diktat del Cavaliere, il primo da leader dell’opposizione. E poi, non è un mistero che fino all’ultimo, il centrodestra si è inventato di tutto pur di far saltare in extremis la nomination del senatore migliorista, fino al punto di rigettare nella mischia dei nomi, anche il neo eletto presidente del Senato, Franco Marini. Tutto, giocato senza raziocinio e con un solo risultato: chiamarsi fuori dalla partita più importante del Paese, quella della nomina del Capo dello Stato, e rinunciare, sua sponte, a diventare parte costituente di una nuova fase istituzionale. A questo si aggiunge il ridondante messaggio del Cavaliere contro la dittatura comunista, il potere rosso, le elezioni “taroccate”, e via dicendo. Slogan da campagna elettorale, insomma., nonostante il fatto che la quindicesima legislatura sia già cominciata. Mah. Intanto resta la compattezza dell’Unione (suffragata dai 543 voti per il Presidente) e la grande rinuncia di Massimo D’Alema. Riconosciuta dallo stesso Napolitano: «E’ stato lui a convincermi – confessa prima dello scrutinio decisivo - mai in nessun momento mi è parso vittima di alcunché. Al contrario, l’ho trovato come sempre lucido e nel suo peculiare modo appassionato». Del resto, dopo la rinuncia del “lider maximo” allo scranno di Montecitorio, restava l’evidente discriminazione politica che si stava consumando nei fatti contro i Ds, accentuata dalla crociata anticomunista di Berlusconi. Un problema che si sarebbe ripercosso sull’intera coalizione, non solo sulla Quercia. Di qui, l’illuminazione: lanciare Giorgio Napolitano, diessino, ex comunista, ma fuori dalla battaglia di partito e in più con un profilo istituzionale e culturale a cui è difficile dire di no. Trasversale, appunto. Risultato? La Cdl si frantuma, e l’Unione si unisce. Certo è che, senza il blocco ideologico di Berlusconi, Giorgio Napolitano avrebbe potuto, o dovuto, salire al Colle con diversi voti in più, magari dando una sorta continuità a quel metodo Ciampi chiamato in causa proprio dall’opposizione inferocita. Ma, del resto si sa: «A mali estremi, estremi rimedi». E se il buon senso non aiuta, ci pensa la legge. Almeno, così è stato per l’undicesimo Presidente della Repubblica. Che si accinge a prestare giuramento di fronte al Parlamento.
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