"Nel problema eutanasia e testamento biologico io credo che vada messo in chiaro il tema di fondo. Siamo tutti d'accordo sul fatto che il limite del nostro discorso va individuato nella proporzione. Cioè se l'intervento terapeutico risulta proporzionato e cioè se i suoi benefici prevalgono rispetto ai costi in termini di menomazioni e sofferenze. Questo concetto di proporzione non esclude aspetti che riguardano il vissuto soggettivo. Oggi alcuni, invece parlano proprio di soggettivizzazione del criterio. Noi dobbiamo capire se il consenso è un mezzo per fare meglio il bene del malato.
Oppure se il consenso diventa centrale perché in questa nostra società pluralista non c'è più un bene da condividere, giungendo quindi ad una idea di bene oggettivo. Attenzione perché portare questa discussione ad una mozione solamente contrattualistica c'è il rischio di incorrere in effetti boomerang eccezionali. Ad esempio vi è la medicina cautelativa dove il medico non si preoccupa più del bene oggettivo del malato ma del rischio di essere chiamato in causa per mancanza di consenso. Quindi di fronte ad un dubbio non t'incoraggia ma si assicura solamente di quella sorta di polizza assicurativa che è rappresentata dalla firma da parte del paziente sul modulo del consenso informato. In un'ottima puramente contrattualistica di fronte ad una manifestazione di volontà orientata al rifiuto della cura, il medico non può far altro che eseguire. Anche se noi sappiamo che proprio questa richiesta è una sorta di appello del malato ad non essere abbandonato, ed a venir curato.
Certo è vero anche il fatto che quando non si può guarire comunque ci possono essere altri anni di vita. In questo contesto va ricercata la debolezza delle normative riguardo il testamento biologico. Io penso che sia implicita già nello stesso termine. In effetti si parla di testamento e non di dichiarazioni anticipate di volontà, in una logica del rapporto medico-paziente che diventa di pura contrattualità. Una logica che espone il soggetto debole ad un rischio immane. Ed è per questo che dovremmo cercare di essere tutti d'accordo sul punto fondamentale che anche quando non può essere guarito, il malato va comunque curato. Certo tutti questi procedimenti hanno un costo. C'è il rischio di una eccessiva colpevolizzazione del malato e della sua famiglia. Certo c'è anche da dire che quando una terapia diventa sproporzionata, una sorta di accanimento, allora questa non è da fare. Un documento molto importante del Comitato nazionale della bioetica del 2005 è quello che tratta il tema dell'aiuto della donna in gravidanza. Certo è anche vero che fare prevenzione dell'aborto aiutando la donna in gravidanza ha costo più elevato.
Però si deve cercare d'instaurare una cultura dell'impegno che già attua nel momento della gravidanza. Si deve evitare che surrettiziamente attraverso la spinta del testamento biologico passi questa idea contrattualistica che pur senza nominarla, apre di fatto all'Eutanasia.
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